E' un classico capitello rurale, sia pur costruito in bella forma, con i muri a faccia vista, le pietre squadrate agli angoli ed il tetto a due spioventi, in getto di calcestruzzo con pietre annegate sopra.
A quanto mi costa fu costruito per interessamento e sprone di Fratel Angelo Menoncin, già ardente Missionario in Sierra Leone e devoto assertore della devozione Mariana, su concorso di mezzi e materiali delle famiglie accanto. L’opera manuale e artistica è di Giorgio Ferrari figlio di Francesco e di Onorina, coadiuvato dal compianto Carlo Brun, padre e uomo esemplare, con la casa d’abitazione poco discosta, poi d’altri.
Più specificatamente dirò che le famiglie di cui sopra furono: Antonio Zulian, detto Doro da Isidoro suo padre e sua consorte Elda, Vittorio Matteazzi con Agnese Menoncin, sorella di fratel Angelo, detto Vesco (Vescovo), Bruno Novello e la mamma Maria, Luigi Polato, detto Ji-io e sua moglie Lucinda, persone a questa data quasi tutte estinte, ma vive ancora nella mente dei pochi superstiti della contrada.
Fu inaugurato con grande solennità durante il rettorato di Don Ottorino Carli, dopo il 1974 e, contro le previsioni dei più pessimisti, seppe reggere a tutte le piene dello scaranto e all’oblio del tempo. Nonostante la notevole diminuzione demografica della zona e la dipartita di tanti sostenitori verso la Lombardia e, come accennato, verso il cielo.
Quanto ad altre particolarità costruttive e di completamento dirò che il capitello reca due croci significative: l’una in alto che invita ad innalzare le proprie fatiche al cielo e l’altra in basso per ricordare, forse, i tanti dolori e privazioni che colpirono sempre questa contrada fin dall’antichità; innanzi tutto l’essere stati sprovvisti di regolare strada di accesso e l’aver dovuto, quindi, provvedere a braccia a tutti i trasporti, compreso il letame con “bigolo e ceste” a spalle e “ziliera” (portantina), poi l’estrema povertà a cui erano sottoposti, mancanza di lavoro ed esiguità della terra lavorativa.