Santuario della Vergine Addolorata
In un angolo della Val Liona, nella zona meridionale dei Colli Berici a 24 km. Da Vicenza, esiste da circa settecento anni una piccola chiesa dedicata alla Vergine Maria Addolorata.
L’origine del Santuario è legato ad una antichissima icona della Vergine Addolorata, attorno alla quale era sorta ed esisteva nel 1266 una chiesa campestre. L’immagine col passare degli anni dovette essere rinnovata, perché l’attuale affresco non è anteriore al secolo XV° ed attribuito a Battista da Vicenza.
Sorsero numerose associazioni religiose, che si sono largamente diffuse fin dai sec. XIII° e XV° in tutto il territorio vicentino interessando sia i centri abitati più consistenti che i più modesti di campagna o di montagna.
Compito precipuo delle varie associazioni era quello di favorire la pratica della vita cristiana. Ogni confraternita curava con particolare fervore il culto della Vergine o dei Santi. La prima confraternita di cui per Grancona abbiamo precisa notizia viene indicata con il nome di “Santa Maria da Spiazzo”, originalmente intitolata alla Vergine Addolorata. Questa confraternita doveva sussistere almeno dalla metà del 1500, dal momento che negli ultimi decenni di quel secolo la troviamo nominata sovente e nel 1583 si dice che gli iscritti sono circa quaranta, ma il loro numero andò gradatamente aumentando sino ad arrivare a trecentosessanta. La confraternita del SS. Sacramento fu istituita la domenica 8 aprile 1573 ed i suoi membri erano tutti, almeno all’origine, appartenenti alla confraternita della Vergine di Spiazzo, o a quella del Rosario. Molte persone lasciano per testamento alle confraternite e con atto notarile, del denaro (ducati) da spartire secondo quanto esse stabiliscono, ma con l’obbligo per ognuna delle confraternite di far celebrare delle messe in suffragio ogni anno.
Con il passare degli anni i beni delle confraternite sono andati sempre più aumentando, tanto che gli amministratori (detti massari) potevano permettersi di concedere dei prestiti ai privati o acquistare direttamente case o terreni, ed è quindi comprensibile che tanta disponibilità di mezzi economici abbia stuzzicata la bramosia di Napoleone bisognoso sempre più di nuove entrate per finanziare le sue campagne militari. Egli confiscando tutti i proventi ed i possedimenti delle confraternite, praticamente le soppresse, impedendo ai massari di poter mantenere fede agli impegni testamentari e ordinando la consegna di tutti i libri contabili ed i registri che, dopo alterne vicende, giacciono ora accatastati nei locali dell’Archivio di Stato di Vicenza.
Trascorsa la bufera napoleonica, devono passare ancora molti anni prima che le confraternite religiose tornino nuovamente ad organizzarsi. Nel 1891 come ideale continuazione delle confraternite della Vergine di Spiazzo, si erige la confraternita di Maria Santissima Addolorata, per opera di un padre dei Servi di Maria di Monte Berico.
Dopo che la chiesa di Spiazzo nel 1911 ha ottenuto di poter conservare il Santissimo Sacramento, nel 1925 – due anni prima che diventasse parrocchia – nella chiesa di Spiazzo venne nuovamente istituita la Confraternita del SS. Sacramento, con un regolamento specifico approvato il 25 febbraio dal Vicario Generale. Non avevano nessun scopo economico queste associazioni e le consistenti entrate venivano spese esclusivamente, così come si legge nei vari atti testamentari, per celebrazioni liturgiche, decoro e restauro degli altari e dei luoghi di culto o per compiere delle opere pie collettive.
Nel 1902 fu costituita la Congregazione di Carità con lo scopo di aiutare i bisognosi e in particolare favorire le ragazze nubili di modeste condizioni nel prepararsi la dote. Spesso ci furono divergenze e controversie con la parrocchia di Grancona, dalla quale Spiazzo giuridicamente dipendeva, tuttavia ogni anno c’era un’occasione per collaborare, come l’annuale processione “dei prati”, la cui origine si perde nel buio dei tempi e che a memoria d’uomo si è sempre svolta: per compiere il voto dei nostri antenati onde ottenere il beneficio della pioggia. Tale processione aveva ed ha luogo tuttora nella festa della SS. Trinità, comunemente tra la fine di maggio ed i primi di giugno e comincia al mattino dalla parrocchia di Grancona: tutta la popolazione del comune ed in special modo i confratelli della Associazioni del Rosario e dell’Addolorata, accompagnano trionfalmente la Statua della Vergine fino alla chiesa di Spiazzo attraverso prati e campagne. È questa oggi una festa collettiva delle due comunità parrocchiali che assistono insieme alla messa celebrata ordinariamente dal Parroco di Grancona nella chiesa di Spiazzo. La statua della Vergine rimane lì tutta la giornata e soltanto alla sera, con analoga processione viene riaccompagnata nella parrocchia di S. Pietro in Grancona.
Una seconda ricorrenza votiva si celebra a Spiazzo, con la partecipazione di tutti gli abitanti del comune, ed è la cosiddetta sagra o meglio: “voto del colera”, che ha luogo ogni anno il 19 luglio. L’origine risale all’anno 1836 e si tiene in ringraziamento alla Vergine per la liberazione del paese da una grave epidemia di colera.
Fra le contrade di Grancona, indubbiamente Spiazzo risulta la più nota e la più antica, ma nei documenti normalmente viene nominata quasi esclusivamente in relazione alla chiesa della vergine. Sappiamo che accanto alla chiesa della Vergine sorgeva fin dagli inizi della sua storia, un piccolo cimitero e che gli abitanti di molte contrade chiedevano esplicitamente nel loro testamento di essere lì sepolti. Lo storico Maccà asserisce di aver trovata nominata la contrada fin dal 1266 (Maccà tomo 5 pag.134). Ma come si è detto più che la contrada nei documenti si trova citata quasi solamente la chiesa della Vergine. Con tutta probabilità sembra che questa chiesa di Santa Maria fosse anticamente la parrocchiale e anzi per la sua antichità (pieve) il suo Parroco avesse il titolo di arciprete, alla quale poi fu unita la chiesa di S. Pietro fabbricata in seguito, sopra le rovine del castello, per comodità degli abitanti ed il detto arciprete per un certo periodo continuò ad officiare in entrambe, come appunto ricorda un documento citato dal Maccà (G. Maccà tomo 5 pag. 135) che sembra avvalorare tale affermazione (Atto Somaggio Galatto notaio in data aprile 1495, Vol. 144 A.S.V.).
Notizie raccolte nel volumetto di: Cesare Giuriolo e Alessandra Giuriolo
Il novecento nelle memorie di un parroco
Gli anni più recenti della storia di Spiazzo sono stati tramandati e narrati grazie ai resoconti di Don Rinaldo Danieli, che guidò la parrocchia negli anni cinquanta del Novecento.
“Il giorno 17 marzo 1949 moriva il vecchio parroco di Spiazzo don Policarpo Crosara. Il vescovo mons. Carlo Zinato mi chiamò in episcopio da Villaverla, dove ero cappellano, e mi offrì subito la parrocchia rimasta vacante. Non potei fare altro che dire “obbedisco”.
Mi recai subito a vedere la mia nuova destinazione e la prima impressione fu deludente e deprimente. La settecentesca chiesa parrocchiale era poco più di un oratorio, lunga tra coro e navata 16 metri e larga 6 metri, con i muri fessurati, ed in grave stato di abbandono. In uno degli altari laterali era collocato l’affresco della Vergine Addolorata, attribuito a Battista da Vicenza, oggetto, come mi dissero alcune persone presenti al mio arrivo, di grande devozione popolare. Il campanile settecentesco portava due campanelle.
La canonica era una povera, anzi misera, abitazione, che non meritava il nome di casa del parroco, era davvero uno squallore, senza impianto elettrico, senza servizi igienici e senza acqua corrente. Mi sono raccomandato alla divina provvidenza, alla Vergine Addolorata e mi sono inginocchiato davanti al piccolo altar maggiore, affidandomi alla misericordia di Dio.
Poiché la chiesa era insufficiente al numero dei parrocchiani, si doveva trovare il modo migliore di ingrandire la piccola chiesa del settecento. Si interpellò il sossanese prof. Muraro, il quale proibì assolutamente che venisse distrutto o manomesso il vecchio edificio del ‘700, e suggerì di trasformarlo in presbitero e sacrestia, la navata sarebbe stata costruita ex novo sullo stile della vecchia chiesa. Il progetto fu studiato e realizzato dall’ing. Biasin di Lonigo. Nel luglio 1951, terminati i lavori stagionali del frumento, i parrocchiani incominciarono lo scavo delle fondamenta. Ci fu di grande aiuto una cava di pietra di proprietà del beneficio parrocchiale ed una squadra di minatori che preparò le pietre. Con la manovalanza gratuita dei parrocchiani, i muratori costruirono i muri della nuova chiesa. A natale del 1951 la nuova e la vecchia chiesa furono congiunte in modo da formare un corpo solo, restava da abbattere il muro divisorio tra il vecchio e il nuovo edificio.
La parrocchia era poverissima, ma composta di gente di grande fede. Poiché i soldi erano pochi, si decise che tutte le famiglie avrebbero tenuto i bachi da seta per pagare i debiti della chiesa, e per dieci anni tutta la parrocchia lavorò indefessamente con risultati sorprendenti, nessuno si tirò indietro. Negli anni seguenti furono eseguiti i lavori più necessari, anzitutto fu tolto il muro divisorio che separava la vecchia dalla nuova chiesa.
Si diedero gli intonaci, interni ed esterni, si provvide alla pavimentazione e alla posa dei gradini in marmo rosso, si costruì l’altar maggiore arricchito con due colonne e due lesene di marmo con le statue dei santi Giuseppe e Vincenzo, si costruirono gli altari delle due cappelle laterali, dedicati a Sacro Cuore di Gesù e a Sant’Antonio da Padova.
Ma restava la parte più importante e la più delicata da fare: a lato dell’altar maggiore, fra questo e la sacrestia nuova, rimaneva l’affresco meraviglioso e miracoloso dedicato alla Vergine Addolorata che porta sulle ginocchia il corpo morto di Gesù. Il suo posto era preparato nella nicchia ricavata sopra l’altar maggiore.
Dal momento che si spostava l’affresco si approfittò per restaurarlo; a questo lavorò un laboratorio di Venezia. Quando l’opera fu pronta essa fu riportata in parrocchia. Alla sera, quando giungemmo a Pederiva, la piazza era stracolma di gente in attesa che accolse l’immagine miracolosa con grandissimo giubilo e venerazione e fu accompagnata processionalmente alla chiesa di Spiazzo e collocata nella nicchia.
Anche il resto della chiesa, quindi, fu abbellito: il pittore Felice Giovanni Mercante di Noventa Vicentina fu chiamato a decorare l’edificio. Realizzò i dipinti del coro, del soffitto del coro, della sacrestia, delle lesene, della navata e del suo soffitto.
Della vecchia chiesa sono state conservate le spalline del vecchio coro, l’ambone e le due statue in pietra, poste in alto tra la navata e il presbiterio, raffiguranti la Madonna Annunziata e l’Angelo annunziante. Sul timpano sono state poste queste parole, in lettere grandi, di bronzo: D.O.M. Verginique Dolorosae Sacrum (A Dio ottimo massimo e alla Vergine Addolorata questo tempio è dedicato).
All’inizio degli anni sessanta si realizzarono le scalinate esterne, i gradini che portano all’ingresso laterale e quelli che portavano alla sacrestia. Furono aperte, poi, due finestre ai lati dell’altar maggiore e fu posta attorno alla sacra immagine dell’Addolorata una cornice, la cui decorazione, fatta a bulino, mostra tutti gli strumenti di martirio adoperati nella passione di Gesù.
Notizie raccolte nel volumetto di: Cesare Giuriolo e Alessandra Giuriolo
La spiritualità della Vergine dei dolori
Nel comune linguaggio dei fedeli, sia la figura di Maria che accoglie nel suo grembo il corpo del Cristo (la Pietà), sia la presenza di Maria ai piedi della croce, vengono definite con il nome di “Addolorata”. Si tratta invece di due moduli iconografici distinti, che hanno origine diversa: devozionale il primo, biblico il secondo.
Maria che accoglie nel proprio grembo il proprio figlio deposto dalla croce è un canone pittorico che proviene dal mondo orientale: in questa icona il Cristo viene rappresentato disteso, come appena deposto dalla croce e di fronte a questa deposizione i fedeli cristiani si soffermavano in preghiera.
Successivamente attorno al Cristo deposto sul sudario si sono cominciate a raffigurare alcune persone quali l’evangelista Giovanni, Maria la madre di Gesù, Maria di Magdala, persone che nel momento in cui Gesù rende la vita al Padre sono presenti (cfr. Gv 19,25), come descrive il vangelo di Giovanni. Oltre a loro, talvolta è raffigurato Giuseppe d’Arimatea, membro del sinedrio, discepolo di Gesù e proprietario del sepolcro che avrebbe accolto il Cristo morto (cfr. Mt 27,57-60).
Questo modo di rappresentare il compianto di Cristo morto diviene popolare in occidente a partire dal secolo XVI e viene proposto con una variazione: il Cristo deposto dalla croce viene accolto da Maria tra le sue braccia e accanto alla Vergine, di volta in volta, vengono poste figure tratte dalle Scritture o di Santi legati all’ambito locale.
Contemplando i volti colmi di mestizia dei discepoli e di Maria, che accoglie nel suo grembo il corpo del Figlio morto in croce, i cristiani vedevano nella Vergine la madre Addolorata, che soffre e custodisce il dolore in silenzio. Si tratta di una lettura spirituale figlia della teologia quattrocentesca, dal modo in cui essa intendeva la passione; questa lettura ancora oggi trova riscontro nella pietà popolare.
Ma l’immagine della pietà letta attraverso i canoni teologici del nostro tempo ci invita ad andare oltre, ci chiama a riflettere sul profondo significato insito nel corpo del Cristo morto deposto tra le braccia di Maria. Non ci fermiamo, oggi, al dolore silente della Madre, bensì meditiamo anzitutto sul senso del corpo, centrale nell’iconografia, simbolo dell’amore estremo di Dio, che ha scelto di farsi sacrificio per comunicare all’uomo d’oggi quanto lo ami, quanto profondo è il suo amore.
Contemplando il Cristo morto non è possibile non far memoria delle parole dette da Gesù nei discorsi di addio: “Non c’è amore più grande di colui che dà la vita per l’amico” (cfr. Gv 15,13).
Ripensare a questo comandamento di Gesù, davanti a Lui morto, è invito ad interrogarci sulla nostra vita, se questa è autenticamente cristiana, e questo lo è o lo sarà nella misura in cui saprò declinare nella mia esistenza questo invito, un invito che ne racchiude un altro: quello di amare il prossimo, a cominciare dalle persone in cui vivo quotidianamente, come Cristo ha amato (cfr. Gv 15,12).
Notizie raccolte nel volumetto di: Cesare Giuriolo e Alessandra Giuriolo