Tra tutti i capitelli del genere da me veduti, sono portato a dire che questo di Sant’Anna appare uno dei migliori. Migliore per semplicità di stile, per qualità della pietra e per l’esattezza nella lavorazione; migliore anche per le studiate proporzioni e forme. Ciò sta a dire la dovizia di mezzi della suddetta signora Contessa Elisabetta Anna, in quell’epoca erede e unica proprietaria di tutta la contea ex-Priuli.
La nicchia incassata nel muro è protetta da una grata in ferro sagomato, con rete metallica e serratura bene incorporata.
Sostengono tutta la trabeazione e il delizioso timpano, a forma triangolare, quattro colonnine abbinate a due a due, partenti dal gradino fungente da base e interrotte a metà da altre quattro che ripetono il gioco di supporti e capitelli, prima dell’architrave. Al centro del primo ordine sta in rilievo, sempre in pietra, la corolla d’un fiore, forse un giglio. Il colore di cielo che circonda la nicchia dà tonalità e senso all’immagine.
Un tetto in cemento-tinto ripara l’opera dalle intemperie.
Una pia mano infine, provvede con regolarità al ricambio d’acqua e fiori. A ciò, finchè era in vita, provvedeva con costante cura Antonia Pellizzer, vedova Zulian, benemerita coadiutrice del parroco durante le di lui assenze. Ora non so.
Testo a cura di: Rizzerio Franchetto e Carmela Bressan